L’isola di Mandela by Michele Farina

autore:Michele Farina [Farina, Michele]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2024-04-15T00:00:00+00:00

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Alla reception dell’inferno

Il Marco Polo ci deposita sullo spiazzo erboso all’entrata della Maximum Security Prison. Non c’è niente di grandioso o di sinistro nella costruzione che ci troviamo di fronte. Un lungo edificio a un piano senza molte difese, con i tetti spioventi in lamiera, lastre irregolari di ardesia sotto le undici finestre, il pennone con la bandiera multicolore del nuovo Sudafrica. Al centro di quella che fino al dicembre 1996 è stata la direzione di un carcere di massima sicurezza tra i più famigerati al mondo, il portone bianco non ha niente a che vedere con l’ingresso imponente che abbiamo attraversato giù al porto d’attracco qualche ora fa. Quella è la vera entrata, anche simbolica, come se l’isola intera fosse un luogo di pena e questo l’accesso a uno spazio interno, diciamo così, all’“area notte” dell’inferno. Non sembrerebbe neppure una prigione, se non ci fossero le torri di guardia agli angoli e qui, sul lato destro dell’edificio principale, non fosse ben visibile la doppia recinzione d’acciaio, con sopra un paio di metri di filo spinato, che prosegue lungo l’intero perimetro del quadrilatero. Bongani chiude la sua appassionata performance rispondendo all’ultima curiosità: «E questa cos’è? Una moschea?».

Si chiama kramat, o karamat: è un piccolo santuario islamico, ricostruito di recente sul luogo dove sorgeva quello originale. La parola significa atto di nobiltà, grandezza, miracolo, e nell’islam sunnita viene usata per indicare le meraviglie compiute da figure particolarmente ispirate. Fu eretto in onore dello sceicco (o principe) di Madura, che guidò una rivolta militare contro gli olandesi nelle Indie orientali e fu mandato al confino da questa parte dell’oceano Indiano. Pangeran Chakra Deningrat morì sull’isola nel 1754. Lo studioso Nigel Penn sostiene che fu principalmente per la sua figura di ribelle che gli venne dedicato un monumento. Il corpo del principe di Madura fu restituito al figlio ed è sepolto a Giacarta, nell’attuale Indonesia. Il santuario è uno dei ventitré kramat nella regione del Capo, meta di pellegrinaggi e di feste. Intorno alla metà del Settecento, qui ci fu una rivolta di bandieten indiaanen: il complotto per uccidere gli europei e prendere il mare verso l’Oriente finì tra condanne e impiccagioni. Il radicamento dell’islam nel sud del continente, ricorda Penn, avvenne con la deportazione a Robben Island dei primi due “preti maomettani” (così venivano chiamati allora); uno di loro, Said Aloeurie, nel 1762 fu richiamato in città per diventare caffer, uno dei funzionari che amministravano le punizioni per gli schiavi che avevano infranto le leggi. Aloeurie divenne una figura di riferimento per quel popolo di oppressi, fino a diventare il primo imam ufficiale della comunità musulmana di Cape Town.

Il kramat è un luogo di raccoglimento ma anche, per chi ne conosce la storia, un discreto simbolo di antica ribellione. È sorprendente che il regime dell’apartheid, così incline alla pratica delle demolizioni (dal quartiere District Six alla Sophiatown di Johannesburg) l’abbia mantenuto al suo posto, al fianco del penitenziario la cui prima funzione era spezzare il morale dei nuovi ribelli. I detenuti che

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